Oll ui nid is giast a littl…

Pazienza, pensi quando avevi proprio voglia di un cioccolatino e scopri che sono finiti. Quando volevi riuscire a dipingerti le unghie almeno per l’ultimo dell’anno e mica ce l’hai fatta, quando hai iniziato la vacanza con il proposito di riordinare quel dato cassetto e niente da fare.
Ripetiti pazienza! quando inviti una conoscente per il tè e sta tre ore a vomitarti addosso i particolari del suo divorzio, anzi per la precisione i dettagli delle infantilissime ripicche che si tirano addosso l’un l’altro lei e il suo ex.
Pazienza, ti dici quando una tua timida proposta viene con elegante noncuranza fatta cadere nel vuoto.
Ci vuole pazienza, quando vorresti leggere e un figlio qualsiasi fa di tutto per attirare la tua attenzione.
Serve pazienza per evitare di intervenire a gamba tesa, tesissima, nei quotidiani litigi dei figli per futili motivi.
Quando la gente passa tutto il tempo a dire quanto è brava e quanto è figa, e quanto è colta e quante ne sa, e quanto si sa divertire e quanto è popolare, porta pazienza.
Se ti piombano addosso acidi rimproveri che ti paiono assurdi respira, sta’ in silenzio, respira e pazientemente prendi tempo. E fai qualche domanda: magari al netto dell’acidità c’è del vero, o quantomeno c’è dell’altro, da capire.
Sorridi con pazienza quando gli alunni non afferrano un concetto, e spiegaglielo da un’altra prospettiva. Se durante un’attività in classe è evidente che la concentrazione è andata a farsi benedire, cerca pazientemente un’altra strada.
Pazienza se c’è chi ai tuoi sorrisi risponde con una faccia di merda, se l’arroganza e la sicumera la fanno da padrone nel mondo, se la vita è un gran casino e la paura a volte è tanta. Stasera il vento profuma di primavera e va tutto bene così.

Quesiti irrisolti

Perché quando stiamo a scuola fino alle 20 a lavorare per la commissione, a farci il culo quadro per l’altra commissione, o per ricevere i genitori, alle 16 il riscaldamento viene spento e noi si deve lavorare, già che ci pagano una miseria, col cappotto addosso?

Perché la collega di sostegno, colei che si fa le unghie mentre sta con la ragazza paraplegica che le è stata assegnata (giuro), colei che poiché più anziana ha soffiato il posto alla precedente, bravissima, colei che ha cercato (ma con me è cascata malissimo) di cucirsi un orario senza buchi tra ore in plessi diversi e naturalmente senza pomeriggi, colei che affosserà definitivamente le possibilità scarse, eppure finora coltivate con amore, che la piccola Nana non abbandoni la scuola, perché costei non viene buttata fuori dalla scuola a calci in culo?

Perché ho chiesto all’altra collega di sostegno di dare una mano a W. e A. a prepararsi per l’interrogazione in storia tipo due mesi fa, e gliel’ho ricordato più e più volte (perché mi ha detto: sì però ricordamelo!), e ho scoperto venerdì non solo che non l’aveva ancora fatto, ma pure che tutta questa settimana è in permesso-studio?

Perché il Piano didattico personalizzato dei ragazzini con qualche Bisogno educativo speciale deve essere concordato in sede di Consiglio di Classe e in realtà lo fa il coordinatore e tutti gli altri firmano, senza nemmeno leggere?

Perché il carrozziere non ha ancora finito di mettermi a posto la macchina?

Cinquantenne brillante

Fine settimana fuori porta, sabato sera in un agriturismo verace fuori dal mondo, grilli e cibo buono. Relax, proprio; che ci voleva.

Finita la cena beviamo un grappino sotto il portico, nel silenzio profumato di tigli, con l’idea andiamo a letto presto e domani iniziamo la giornata, che sarà finalmente luminosa, di buonora. Finché arriva lui. Il cinquantenne brillante, come si autodefinisce da subito.

Avete presente il buon Zampetti, quello di “Vacanze di Natale” dell’83? Ecco: parla precisamente come lui, ma è pelato e sovrappeso. Sente il bisogno incoercibile di raccontarci la sua vita, perché sa che essa trasuda esempi di saggezza per l’umanità e dunque con larga generosità ce ne fa dono, offrendo nel contempo da bere a tutti i presenti. Per tutta la sera. Perché gli amorfi vanno a dormire, i brillanti restano.

Scopriamo così da lui i tre segreti dell’esistenza.

1) Il lavoro nobilita l’uomo. Lui, per esempio, è dall’età di venticinque anni che ha una sua attività – che oggi conta quasi quarantatré dipendenti (quarantadue e un bambino? quarantadue e un nano? mah) – e quando c’è stato da pagare bustarelle per incrementare gli affari non si è mai tirato indietro, mica come i giovani d’oggi che sono pavidi e fannulloni; a lui il direttore della banca lo chiamava per nome e gli dava i soldi sull’unghia, senza fare domande come quello che c’è adesso, che pretende trasparenza (dice questa parola con lo stesso disgusto che si riserva a comportamenti incresciosi e socialmente deplorevoli); lui, inoltre, ha quattro case e svariati milioni ma è rimasto umile, perché ha un telefonino da dieci euro.

2) Ciò che conta nella vita è l’amore. Sua moglie è la sua vita: dato che lui ha il telefonino da dieci euro perché odia la tecnologia, è lei che risponde alle mail e gli fa da segretaria, è lei che bada alla casa e alla scuola del figlio è lei a pagare i quasi quarantatré stipendi e a pensare a tutta la burocrazia e lui senza di lei sarebbe perso, non potrebbe più vivere (mentre lui dice queste cose lei gli sorride con gli occhi che brillano e io avrei tanta voglia di rovesciarle il vino in testa).

3) Crescere figli perfetti è semplicissimo e loro l’hanno capito: coi figli bisogna parlare, creare un dialogo. Interviene lei, e mi spiega come devo fare ora che i miei figli sono ancora piccoli: quando tornano da scuola bisogna chiedere com’è andata, farli parlare, abituarli a raccontare tutto. Seguendo questo metodo suo figlio non ha mai fatto un capriccio in vita sua e ora che ha diciassette anni le racconta tutto, per esempio ora è al cinema con la sua fidanzatina e a mezzanotte devono andare a prenderlo; certo è un maschio e allora da mamma bisogna vigilare perché le femmine sono più furbe, me ne accorgerò, allora quando si vede che una ragazza lo sta imbesuendo bisogna metterlo in guardia, che si svegli un po’. Snocciola queste perle con compiacimento assoluto, e nei suoi occhi si legge la sicurezza stolida e contenta di chi non è stato mai sfiorato da un dubbio. E nel frattempo è l’una, e il figlio perfetto telefona – sconvolto, a detta sua – al papà brillante, non già per chiedergli dove sia finito dato che doveva andare a prenderlo un’ora prima, ma per raccontargli disperato che la fidanzata l’ha mollato. Il brillantone trasuda orgoglio: è come un fratello, per lui, ormai è ufficiale. Gran bel lavoro. Della conversazione telefonica abbiamo captato solo questa frase, che il brillantone si è premurato di farci sentire, avvicinandosi all’uopo: “Non preoccuparti, pensa a tutto papà!”; il resto, ce l’ha naturalmente riportato lui stesso: gli ho detto, passami il Loris, e al Loris faccio, Loris, portami a casa il figlio, che è in un momento di difficoltà, e non fate cazzate, e poi a lui ho detto, allora adesso tu vai a casa e ti rilassi e ci aspetti sveglio, a qualunque ora, così parliamo.

E’ andato via alle due e venti, salutandoci con l’ultima chicca: “Adesso salgo sul biemvù, duecento all’ora, e in venti minuti sono a casa!”.

Se fosse stato il personaggio di un film l’avrei giudicato eccessivamente stereotipato e macchiettistico, ma come si sa la realtà supera sempre l’immaginazione in modo brillante.

La mia nonna

La mia nonna era la maestra del paese, e al suo funerale la bara l’hanno portata a braccia i suoi alunni più disgraziati e amatissimi, come da sua esplicita richiesta.

La mia nonna anche quando non usciva più di casa aveva sempre una collana intonata al vestito e anche quando non usciva più dal letto ogni tanto chiedeva un pettine perché bisogna essere in ordine.

La mia nonna – dicono – era la più bella del paese, ma odiava essere fotografata o essere al centro dell’attenzione.

La mia nonna detestava con tutte le sue forze il formaggio, in qualsiasi forma, e la televisione.

Qualche tempo prima di andarsene, storta e nodosa e piena di dolori, aveva detto “Ora come ora la mia vita non la augurerei a nessuno. Però non ho voglia di morire”.

La mia nonna non tollerava l’idea di essere un peso per gli altri, ma non le pesava mai niente.

Era  generosa in modo esagerato, ma a se stessa non concedeva quasi nulla: c’erano solo due cose su cui non ammetteva compromessi, il caffè e i biglietti di carta a mano, che comprava e consumava in quantità industriali, e solo di ottima qualità.

La mia nonna sapeva milioni di storie, ha insegnato a tutti i nipoti e i bisnipoti poesie e filastrocche, e mi cantava sempre “grazie, dei fior…”.

Lei ricordava compleanni ed onomastici di tutti i parenti di qualsiasi grado e per ciascuno escogitava sempre qualcosa di speciale.

La mia nonna sapeva ascoltare senza interrompere e senza giudicare, e qualunque estraneo conosciuto per caso su un treno finiva per raccontarle la sua vita nel tempo di un viaggio, e la sua casa era sempre piena di gente.

Trovava sconveniente alzarsi più tardi delle 6.30, anche quando era malandata e non aveva più nessun nipotino bisognoso delle sue cure, e andare a riposare al pomeriggio era roba da andarsi subito a confessare.

La mia nonna aveva lo sguardo sempre meravigliato dei bambini, e ha passato la vita a tessere e dipanare la mitologia familiare, di cui si sentiva parte con immensa gratitudine.

Aveva una capacità formidabile di non accorgersi dei torti subiti e di sentirsi onorata dal più insignificante gesto d’attenzione.

La mia nonna amava il nonno di una tenerezza totale, ed era per lui tutto, e io ora porto la sua fede nuziale accanto alla mia, con riconoscenza, e orgoglio.

Mi ha insegnato l’accoglienza, la fiducia, l’amore per la vita.

E’ volata via due anni fa oggi, e mi manca tanto.